
Nella prima ricerca, il trial COV-AID, scienziati belgi, guidati da Jozefien Declercq dell’University Hospital Ghent, hanno studiato 342 adulti con COVID-19, insufficienza respiratoria ipossica e segni di sindrome da rilascio delle citochine sistemiche. I soggetti sono stati divisi in quattro gruppi, di cui uno trattato con l’inibitore dell’IL-1 e uno senza, e un terzo in terapia con l’inibitore IL-6 e l’ultimo senza blocco di questa interleuchina.
Dai risultati i ricercatori hanno concluso che non c’è “beneficio dall’inibizione dell’IL-1 e l’IL-6 sul tempo di miglioramento clinico, con una mortalitĂ a 28 giorni da bassa a moderata”, come spiega Declercq. Il tempo mediano stimato per il miglioramento clinico, infatti, è stato di 12 giorni, con o senza inibitori di IL-1, e di 11 giorni con l’anti-IL-6, rispetto a 12 senza.
Inoltre, non vi erano differenze tra i pazienti con elevati livelli di citochine al baseline e non c’erano differenze in termini di mortalitĂ , tra i gruppi di trattamento. Infine, l’incidenza di eventi avversi gravi e infezioni è stata simile tra i gruppi in studio. Secondo i ricercatori “sono necessari ulteriori indagini per determinare se alcuni sottogruppi specifici di pazienti possono trarre beneficio da questi farmaci o se esistono biomarkers per identificare i responders in modo piĂą accurato”.
Uno studio italiano, guidato da Emanuel Della-Torre dell’UniversitĂ Vita-Salute San Raffaele di Milano, ha indagato, invece, i potenziali danni della somministrazione di inibitori di IL-1 e IL-6. Su un numero ristretto di pazienti è stato osservato che le terapie anti-IL-1 e anti-IL-6, usate per il trattamento del COVID-19 grave, hanno influenzato negativamente l’attivitĂ neutralizzante degli anticorpi anti-SARS-CoV-2, con una riduzione di questa del 33%, nei pazienti trattati con anti-IL-1, e del 39%, tra quelli trattati con anti-IL-6, al giorno 30.
Inoltre, al giorno 60, l’attivitĂ neutralizzante mediana era inferiore nei pazienti trattati con l’inibitore dell’IL-1, del 32%, e con inibitori dell’IL-6, del 33%, rispetto alle cure standard; risultati che sollevano preoccupazioni sull’uso di questi farmaci nei malati di COVID-19. In particolare, secondo gli autori, la riduzione dell’attivitĂ neutralizzante evidenziata richiede un’attenta rivalutazione dei rischio di reinfezione e di malattia grave nei pazienti trattati con anti-IL-6. Inoltre, l’efficacia della strategia che prevede la somministrazione di una sola dose di vaccino per le persone che sono guarite dal COVID-19 potrebbe non funzionare se il paziente è stato trattato con inibitori dell’IL-6.
Fonte: The Lancet Respiratory Medicine e The Lancet Rheumatology
Staff Reuters
(Versione italiana Daily Health Industry)
